Attesa da tempo, è arrivata la richiesta di chiarimenti da parte della Commissione europea, passaggio fondamentale perché la stessa possa inoltrare al Consiglio europeo il rapporto sul debito necessario per aprire una procedura di infrazione. Saranno infatti prima i Governi nel Consiglio Europeo a valutare l’opportunità della procedura e successivamente i Ministri delle Finanze, con un esito finale che si conoscerà tra l’8 ed il 9 luglio prossimi.
La procedura d’infrazione nasce perché l’Unione europea è dotata di strumenti di controllo sui comportamenti di bilancio e di strumenti di correzione nel caso in cui ci siano violazioni delle regole: ciò al fine di impedire che gli Stati membri adottino politiche economiche sbilanciate. La ragione di queste regole è che se vi sono disequilibri finanziari nell’area, questi si trasmettono agli altri Paesi, e per poter risolvere eventuali crisi dovrebbero intervenire gli stessi Paesi membri oppure la Banca centrale Europea. Quand’anche i Paesi intervenissero sarebbero richieste al Paese azioni ed interventi rigorosi: data la loro rigidità, si preferisce anticipare le misure da adottare e indurre i Paesi a tenere a posto i conti.
Prima del Consiglio dei Ministri delle Finanze ci sarà da parte della Commissione europea l’emissione del documento delle raccomandazioni – Paese in cui verranno indicati gli orientamenti per i Paesi membri al fine di incanalare le politiche economiche nel resto del 2019.
Per evitare la procedura di infrazione non potranno più essere utilizzati i margini di flessibilità adottati in passato per investimenti e riforme: potranno essere evidenziati il ristagno economico internazionale e la gelata commerciale dovuta alla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina: forse si potrà agire sull’output gap, il valore che indica di quanto è lontana la crescita reale dalla crescita potenziale a causa di difficoltà esterne. Aumentando l’output gap, verrebbero ad alleggerirsi le richieste sui conti.
La Commissione cercherà di evitare contrasti netti con il Governo che dovrà nominare il prossimo presidente della Commissione Europea, nonché dare indicazioni sul Presidente della Banca centrale europea.
L’Italia si presenta a questo doppio round di nomine con:
-la promessa non rispettata di far scendere il debito pubblico, che invece sta salendo,
-una continua tensione sui tassi di interesse a causa di dichiarazioni di esponenti di maggioranza che non vogliono rientrare nei parametri contabili sottoscritti a suo tempo dall’Italia e che così facendo sottraggono liquidità al Paese che potrebbe invece utilizzarla per sviluppare l’economia,
-ridotti investimenti per crescita ed aumento di competitività, con una concentrazione di spese a fini elettorali per incardinare reddito di cittadinanza e quota 100,
-oneri per interessi sul debito pubblico maggiori della sua crescita, anche a causa dei continui conflitti nella maggioranza di Governo, non allineata sulle politiche da adottare,
-la consapevolezza espressa nel Documento di economia e finanza che nel 2019 non ci sarà crescita (prevista a settembre dell’1,5%, scesa a dicembre all’1%, a febbraio allo 0,2% e ad aprile allo 0,1%,
-l’adozione di misure che avrebbero dovuto spingere l’economia e invece avranno un impatto limitatissimo:
dal reddito di cittadinanza, del quale si studiano i risparmi per limare il deficit a seguito del ridotto numero di domande,
al decreto crescita e sblocca cantieri che almeno per il 2019 non produrranno sostanziali effetti,
a quota 100 che non garantisce il turnover dell’occupazione a favore dei giovani,
-il proseguimento di promesse elettorali per alimentare il consenso propagandistico e non la crescita,
-la necessità di coprire, a fine 2019, 30 miliardi tra clausole iva e spese obbligatorie, per evitare l’indebolimento della domanda interna,
– un clima di fiducia di imprese e cittadini altalenante,
– un divario di crescita tra il Paese e le altre economie europee che aumenta giornalmente,
– il dichiarato aumento di debito pubblico e disoccupazione per il 2019 come assunto nel Documento di economia e finanza,
– il passaggio di Presidenza della Bce a partire dal novembre 2019 con la possibile scopertura sul fronte delle politiche di tassi bassi garantita sinora da Draghi,
-un divario produttivo tra il nord ed il sud del Paese che aumenta sempre più.
Sul fronte esterno, oltre ai contingenti problemi del momento (Brexit, dazi, economia cinese), l’ Unione europea non è pronta a condividere i rischi con i Paesi indebitati viste le asimmetrie economiche dei fondamentali: l’atteggiamento di sfida del Governo non aiuta e fa il gioco degli speculatori che approfittano della situazione e chiedono maggiori premi per maggiori rischi.
Un Paese isolato, soprattutto politicamente, all’interno dell’Unione, che avrà bisogno di mediare tra:
l’ordine dei conti pubblici richiesto dalle regole europee,
una certa dose di flessibilità da parte degli Organismi Europei che hanno bisogno di sostegno per le prossime nomine,
il quasi certo aumento delle imposte (non generalizzato ma dettagliato e diverso per settori di intervento),
un taglio alle agevolazioni fiscali e dunque una ulteriore maggiore pressione fiscale al termine della valutazione.
Probabilmente la procedura di infrazione ci sarà ma resterà congelata in attesa delle nomine: alla fine potrebbe arrivare anche il tempo in cui la politica tornerà a fare una seria programmazione di lungo periodo, rappresentando in maniera ragionevole ed assennata, le esigenze di un Paese che nell’ultimo anno ha aggravato notevolmente la sua posizione economica.
Non senza pagare un prezzo e non con una certa classe politica.
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