Pronto a partire il nuovo piano Next Generation Eu da 750 miliardi di euro, comprensivo del Recovery and Resilience Facility (noto come Recovery Fund), insieme al quadro finanziario pluriennale 2021-2027 di 1.100 miliardi: entro il mese di luglio entrambi saranno approvati dal Consiglio Europeo.
Il piano Next Generation Eu, pensato per far in modo che l’Unione, rinforzandosi, possa affrontare in maniera più strutturale le prossime eventuali crisi, affrontando in anticipo le vulnerabilità, si compone di
*310 miliardi di trasferimenti secondo la chiave di allocazione in funzione di popolazione, inverso del Pil pro-capite, tasso di occupazione ed impatto della crisi,
*250miliardi di prestiti.
Diversi i fronti di discussione aperti sui criteri di attribuzione dei trasferimenti, con le osservazioni da parte dei Paesi “frugali” (Olanda, Austria, Danimarca e Svezia) che, in maniera frammentaria rispetto all’operatività di un’Unione che in questo frangente dovrebbe dare il meglio di sé in termini di coesione, indicano:
- il rifiuto di un meccanismo-ponte che consentirebbe di ottenere immediatamente gli aiuti anziché attendere il 2021,
- il bilanciamento di prestiti ed erogazioni soprattutto perché a detta dei Paesi contestatari i parametri di occupazione andrebbero ponderati sulla base degli effetti della pandemia e non sulla base dei dati degli ultimi 5 anni,
- il contenimento del bilancio dell’Ue entro l’1% del Pil complessivo riducendo le risorse per agricoltura e coesione.
Peraltro i Paesi più recalcitranti temono il voto politico italiano che si terrà tra il 2022 ed il 2023 e vogliono essere rassicurati in termini di tipologie di spese che non dovranno essere di tipo elettorale ma volte all’efficientamento del sistema Paese.
L’Unione Europea nei prossimi 6 mesi sarà interessata anche da passaggi epocali in questa fase post emergenza Covid che già di per sé rappresenta il momento di crisi peggiore degli ultimi 70 anni: la definizione della Brexit, oltre che l’articolazione e la gestione dei rapporti con Stati Uniti e Cina, troppo spesso attori di un deterioramento dei rapporti bilaterali.
Medierà la Germania, che assumerà la Presidenza del Consiglio Europeo (e che potrà contare sulla collaborazione dell’ex ministro tedesco Vond Der Leyen alla Presidenza della Commissione) a partire dal 1 luglio, consapevole della necessità di un accordo da chiudere in tempi rapidi come ci si aspetta in un frangente di crisi, ed altresì conscia del fatto che più passa il tempo e più l’emergenza si aggrava e peggiori possono essere in futuro le condizioni di intervento. Aggravano il quadro generale:
– una possibile seconda ondata di Covid 19 e l’enorme incertezza sulla sua durata, che potrebbe peggiorare e dover incrementare le azioni da porre in atto,
– il rischio che la pandemia amplifichi le situazioni di divergenza economica dei Paesi membri.
Per la Germania la situazione di crisi deve essere trasformata in opportunità di rilancio per tutti i Paesi con risposte ambiziose che dovranno essere trasmesse alla Commissione europea in autunno o prima, se pronte: azioni immediate di riforma che dovranno abbracciare la solidarietà finanziaria dell’area alla responsabilità della spesa.
Per la stesura del Recovery Plan italiano i lavori sono iniziati con le prime indicazioni nel Piano Colao, per poi convergere negli Stati Generali che hanno delineato un quadro di rilancio seguendo 3 grandi linee:
la modernizzazione del Paese attraverso la digitalizzazione tecnologica,
l’avviamento della transizione energetica in un’ottica di neutralità ambientale,
l’implementazione di un sistema economico più inclusivo.
Un’ottica di lungo termine, al suo interno variamente articolata, alla base della quale saranno da risolvere alcuni nodi fondamentali:
-la capacità del Paese di spendere bene i soldi che arriveranno, progettando opere utili senza disperdere le risorse in rivoli inutili (nel ciclo di programmazione 2014-2020 non è stato speso il 70% dei fondi disponibili) efficientando quindi la capacità di spesa delle Amministrazioni Pubbliche,
– la necessità di aumentare la produttività sia per il settore pubblico che per quello privato,
-l’urgenza di dare una svolta al Paese semplificando il sistema e cancellando una parte della pesante burocrazia, implementando procedure snelle che permetteranno Pil aggiuntivo mediante l’attuazione di procedimenti amministrativi dai tempi certi e ragionevoli, non assorbiti da migliaia e migliaia di leggi e regolamenti,
-l’obbligo di riformare il sistema fiscale, perché esso sia da stimolo ai contribuenti,
– l’auspicio di tagliare il costo del lavoro in modo da rilanciare i consumi dal lato dell’offerta, mentre mediante la riduzione contributiva verrebbe incentivata la domanda di lavoro,
-il rinforzo della qualità del sistema Paese mediante investimenti nell’istruzione,
-l’improcrastinabile necessità di combattere l’economia sommersa.
I fondi del Recovery Fund saranno erogati sulla base dei progressi volti al raggiungimento degli obiettivi fissati nei piani contenuti nel programma nazionale di riforma annuale: la Commissione verificherà, passo passo, che le misure contribuiscano effettivamente all’attuazione delle Raccomandazioni del semestre europeo e che siano effettivamente orientate alla transizione green e digitale.
Il progetto dovrà spiegare come il Paese intende raggiungere gli obiettivi, la tempistica, la ripartizione dei costi, la durata degli effetti delle riforme sull’economia e sull’occupazione e dovranno essere tassativamente escluse misure una tantum. Sarà il Paese stesso a fornire un report trimestrale con i progressi del piano e tale comunicazione sarà auspicabile anche diretta all’interno del Paese, per far acquisire ai cittadini e alle imprese la consapevolezza di un cammino ben orientato al loro interesse.
Il Paese dovrà essere concreto e credibile nella formulazione del proprio progetto e la Commissione dovrà certamente accelerare nella tempistica di erogazione dei fondi: dalle bozze si prevede di erogare il 6% nel 2021, il 16% nel 2022 ed il resto tra il 2023 ed il 2027. Tempi comunque troppo lunghi per la gravità della crisi.
Un elemento ha contraddistinto sinora l’operato dell’Unione Europea : la risolutezza con cui le amministrazioni e la Banca centrale hanno reagito al Covid 19. Al primo impatto della crisi sono state infatti sospese regole di controllo sui bilanci che hanno permesso ai Paesi di attuare politiche fiscali di fondamentale importanza per la salvaguardi della posizione di cittadini ed imprese mentre la Banca centrale europea è stata un argine forte nel sostegno a breve e medio termine alle economie ed al sistema creditizio sia per mezzo dell’acquisto delle obbligazioni con il Pandemic Emergency Purchase Programme, che con l’allentamento dei riferimenti per gli enti regolatori e di vigilanza bancaria.
Al sostegno finanziario deve ora incardinarsi l’immediato sostegno economico produttivo e di questo deve farsi carico il nostro Governo: proteggere le entrate finanziarie dei Paesi consentirà agli stessi di restare in equilibrio e questo discorso è tanto più valido per l’Italia che presenta ancora un avanzo primario ed un tasso di crescita nominale del Pil superiore al costo degli interessi dei titoli del debito pubblico.
Perdere la sostenibilità del debito significherebbe far tracollare l’Italia e la sostenibilità viene garantita dal superamento di tutte le criticità che da decenni ingessano il nostro sistema economico.
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