La trattativa dopo il muro

Dopo la seconda bocciatura del quadro della finanziaria e la pubblicazione del rapporto sull’evoluzione del debito italiano, i componenti della coalizione di Governo si preparano a fare passi indietro rispetto alle promesse con cui hanno conquistato Palazzo Chigi.

Entro martedi 4 dicembre arriverà anche la decisione del vertice dei Ministri finanziari che adotteranno la loro decisione in merito ai saldi del bilancio italiano.

Già la scorsa settimana i direttori generali del Tesoro (che compongono il comitato economico e finanziario dell’Unione europea) hanno fatto propria l’analisi della Commissione europea e dichiarato giustificata l’apertura della procedura per debito eccessivo nei confronti dell’Italia.

L’Italia ha perso nel frattempo i pochi appoggi politici che aveva dai Paesi tendenzialmente sovranisti, che si sono compattati intorno alla Commissione, coscienti del fatto che solo le regole possono tenere in piedi il blocco economico, e che il rischio di far implodere l’Unione valutaria per la scorrettezza nei conti di un solo membro che presenta un rapporto debito/Pil oltre il doppio dei valori consentiti dai Trattati, avrebbe un prezzo troppo alto per i propri cittadini, specialmente dopo anni e anni di finanze da loro conservate in buono stato, che hanno comunque garantito pace e sviluppo economico.

Entro il 19 dicembre la Commissione potrebbe dunque concludere il processo di approvazione della raccomandazione all’Italia e inviare al Consiglio Europeo le indicazioni per l’adozione della procedura di infrazione. Nello stesso documento dovrà precisare le misure e la tempistica che dovranno essere adottate dal Paese per il rientro dalla procedura, ma anche tutte le informazioni supplementari che dovranno essere fornite ad ogni emissione di titoli del debito pubblico che faranno seguito all’adozione dell’iter.

Si gioca infatti intorno ai 400 miliardi di rinnovo dei titoli di debito la partita del 2019 per l’Italia: entro il prossimo anno dovrà essere rifinanziata metà dell’intera spesa pubblica di un anno del Paese, e il Tesoro ha già avuto enormi difficoltà nel collocamento dei titoli delle ultime aste, riportando in alcuni casi i risultati peggiori dal 2012. In carenza di domanda l’Italia è stata costretta ad aumentare i rendimenti per collocare i propri titoli, con gravi effetti sull’economia reale che pone gli investitori di fronte alla scelta se investire i propri risparmi sul debito pubblico italiano o su investimenti privati (obbligazioni ed azioni di banche e di aziende private). La conseguenza è un aumento generalizzato dei costi per il sistema Paese privato che impedisce uno sviluppo competitivo e ne rallenta l’economia.

L’aumento dello spread, chiaro segnale di sfiducia nei confronti dell’Italia (che si presenta con comportamenti ambigui e poco opportuni sui mercati), comporta un grave danno anche agli istituti bancari, prima fonte di finanziamento di imprese e cittadini. Causa la valutazione trimestrale dei propri asset per monitorare l’equilibrio finanziario, le banche corrono il serio rischio di dover affrontare importanti ricapitalizzazioni per coprire i requisiti minimi richiesti dalla vigilanza. Con tale prospettiva riducono la propria esposizione verso la clientela e aumentano i rendimenti richiesti sui prestiti. L’economia rischia di rallentare a fronte di un rialzo dei tassi e di un restringimento del credito.

Le banche hanno peraltro anche la necessità di dover trovare sul mercato capitali per far fronte ai requisiti di vigilanza che escluderanno dai conteggi anche tutti i finanziamenti (quadriennali, che vanno sotto il nome di TLTRO) forniti dalla Bce, che al momento non è noto se saranno rinnovati: entro il mese di giugno 2019 molte di esse dovranno pertanto raccogliere liquidità a tassi aumentati per rendere appetibile la sottoscrizione. Gli istituti dunque, che pure si erano rafforzati nell’ultimo periodo, grazie all’eliminazione di un importante parte dei crediti inesigibili in portafogli ma anche grazie ad una selezione nella qualità del credito e del calcolo di redditività, rischiano di soccombere nuovamente in conseguenza delle scelte di Governo.

Peraltro in questa situazione anomala le banche potrebbero sottrarsi alla sottoscrizione di titoli del debito pubblico, da sempre garantita nei confronti del Governo, per evitare che il rischio Paese si trasformi in un rischio bancario proprio, con ciò contribuendo ad aumentare il valore dello spread.

Contemporaneamente l’economia inizia a dare sostanziali segni di cedimento: la fiducia di cittadini ed imprese si sta deteriorando velocemente anche in considerazione del fatto che ormai tutti hanno ben compreso che la legge di bilancio presenta enormi rischi. Nel terzo trimestre dell’anno vi è stato il primo calo congiunturale registrato dall’Istat, e la disoccupazione è salita per il secondo mese consecutivo  (peraltro in controtendenza rispetto all’andamento dell’area euro ove è rimasta stabile). Nel caso in cui il Pil resti stagnante anche nell’ultimo trimestre vi sarà un effetto di trascinamento anche nella prima parte del 2019, e la crescita prevista dal Governo all’1,5% per il 2019, già smentita dalle più importanti istituzioni nazionali ed internazionali, diventerà realtà.

Se il tasso di crescita del Pil dovesse arrestarsi definitivamente, con questo tipo di manovra rischia di esplodere il rapporto debito/Pil del Paese, con conseguenze incontrollabili.

Dopo settimane di annunci e scontri vengono dunque adottati stratagemmi operativi. Dallo slittamento di 4 miliardi dal reddito di cittadinanza su dissesto idrogeologico e manutenzione stradale (reddito di cittadinanza che doveva iniziare con 19 miliardi, sceso a 9 e ridimensionabile a 5 e che inizierà non a gennaio ma più tardi nel 2019), al ricalcolo dei fondi destinati al pensionamento anticipato (che già costerà ai beneficiari tra il 5 ed il 30% della somma dovuta) che potranno comportare uno slittamento nell’applicazione del meccanismo di 3 mesi per il settore privato e 6 mesi per il settore pubblico. Sistema pensionistico per il quale sono stati stanziati 7 miliardi per ognuno dei 3 anni di previsione mentre le finestre pensionistiche che si apriranno nel periodo saranno sempre maggiori e non vi è stata previsione di maggiori costi.

Valori di bilancio ritoccati anche per l’importo delle dismissioni di immobili e partecipazioni, passate da 600 milioni all’importo monstre di 18 miliardi, da incassare in 12 mesi: promesse già inserite in precedenti leggi di bilancio e puntualmente disattese.

In dubbio anche i costi riportati in bilancio in merito agli interessi sui titoli del debito pubblico: le valutazioni inserite fanno riferimento ad uno spread che nel mese di settembre toccava quota 220, decisamente inferiore rispetto alla quotazione attuale, che potrebbe restare in prospettiva anche nei prossimi mesi, in caso di apertura della procedura di infrazione.

Il Governo tratta, con l’obiettivo di guadagnare tempo per l’avvio della procedura a metà febbraio anziché a gennaio, e cerca di ammorbidire i conteggi delle conseguenze dell’avvio della procedura. I Paesi membri dovranno concordare l’importo delle sanzioni e i tempi di rientro, oltre che ottenere un deposito a garanzia.

Grazie alla tregua sui dazi firmata tra Stati Uniti e Cina rallentano le pressioni sul commercio internazionale, che rischiavano di indebolire ulteriormente la posizione italiana, mentre resta alta l’attenzione sull’andamento dei tassi da parte della Bce che pure deve rientrare dell’enorme liquidità distribuita con l’operazione del Quantitative easing che ha permesso a tutti i Paesi europei di riprendere un sentiero di crescita. Ed è proprio questo il punto cardine delle contestazioni alla manovra: l’Italia non si è preoccupata di alleggerire il suo carico di debito che le impedisce una crescita al pari delle altre economie investendo anziché fare assistenzialismo, e non farà riforme atte a far diventare il Paese più produttivo e più snello nelle procedure. I provvedimenti adottati sinora hanno viaggiato esattamente al contrario: è stato rallentato il procedimento di prescrizione, che pure snelliva in qualche modo la giustizia ritenuta ingolfata dagli investitori, ed è stato rallentato lo stimolo alle assunzioni da parte della aziende, irrigidendo le condizioni per le assunzioni con il “decreto dignità”. Un Paese che ha ridotto i fondi alla ricerca e allo sviluppo, sottraendo anche risorse al piano Industria 4.0.

Un Paese che diventa assistenzialista e disincentivante al lavoro (pur esistendo un programma di sostentamento già avviato e testato che però sarà smantellato anziché essere dotato di maggiori risorse e in parte revisionato) e penalizza il suo futuro ponendo solo fardelli ingombranti sul domani delle prossime generazioni.

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