Dopo 6 anni di incertezza cominciati con il sequestro degli impianti, e mesi di passaggi burocratici tra Unione Europea, Governo, Antitrust, acquirenti, Anac, il Governo ha chiesto un aggiornamento della proposta di acquisto per Ilva ad Arcelor Mittal, capofila della Am Invesco, assegnataria dell’impianto, nel tentativo di dare discontinuità politica con il precedente Governo, cercando migliorie su tempistica, occupazione ed alcuni dettagli tecnici, oltre ad una possibile revisione del prezzo.
L’ Arcelor in un comunicato ufficiale ha dichiarato la propria intenzione di migliorare l’offerta pur essendosi mossa sempre con trasparenza ed impegno.
Il contratto di Governo recita, in merito all’Ilva “un programma di riconversione economica basato sulla chiusura delle fonti inquinanti, per le quali è necessario provvedere alla bonifica, sullo sviluppo della green economy e delle energie rinnovabili e dell’economia circolare”. Un impegno che può arrivare a dire anche la chiusura totale dello stabilimento così come è concepito attualmente e nonostante gli interventi già contrattualizzati dal precedente Governo.
L’ambiente
Prioritariamente è stato chiesto un termine più breve per l’attuazione del piano ambientale, anticipando il termine delle operazioni di copertura dei parchi minerari dal 2023 al 2020.
Si stanno inoltre verificando le possibilità di inserire negli altiforni dei preridotti in ferro che avrebbero minore impatto ambientale ma importanti effetti sui costi.
Altre ipotesi in corso di valutazione è la dismissione di alcuni altiforni e cockerie (le cosiddette aree a caldo) che ridurrebbe l’impatto ambientale ma avrebbe un fortissimo negativo impatto occupazionale.
Da ultima la possibilità di installare forni elettrici, affiancati agli attuali altiforni oppure del tutto in sostituzione.
L’occupazione
Attualmente contrattualizzata in 10.000 unità (dalle odierne 14.000) è destinata a scendere a 8.500 al termine delle operazioni di risanamento: anche su queste cifre si sta cercando una mediazione.
Le verifiche
L’Anac è stata incaricata di verificare irregolarità o ipotesi di falsata concorrenza, come pure di verificare la rispondenza tra quanto previsto nel bando e quanto contrattualizzato.
Nel corso dell’iter anche l’Avvocatura di Stato era stata interpellata dal precedente Governo per permettere il miglioramento dell’offerta da parte della seconda cordata esclusa ma l’organo si era espresso sull’irricevibilità della proposta.
Tra le criticità rilevate dall’Anac in tempi recenti: il termine per il piano ambientale, spostato dall’originario 2017 al 2023, insufficienze nel bando di gara sui rilanci degli offerenti, alcune scadenze intermedie.
Am Invesco nel suo programma investe 4,2 miliardi, ripartiti tra 1,2 miliardi sul piano ambientale, 1,2 miliardi per investimenti industriali, 1,8 miliardi in conto prezzo. Arcelor in particolare ha dovuto rinunciare ad una parte dei suoi stabilimenti per avere una presenza complessivamente equilibrata nella sua posizione europea.
Ha così offerto una serie di miglioramenti (la riduzione del 15% delle immissioni di anidride carbonica, la conferma dell’anticipo dei termini di copertura dei parchi al 2020, investimenti in ricerca e sviluppo sul sito di Taranto) a cui il Ministero ha contrapposto di non avere fretta di concludere la valutazione.
Taranto non può restare nell’incertezza e nell’oscurità sul suo futuro: attualmente l’impianto è a livelli di produzione minima e i clienti non attendono certo le considerazioni politiche per poter inoltrare delle commesse. L’incertezza ha prodotto infatti come conseguenza che la domanda si sia diretta all’estero per l’approvvigionamento.
Economicamente la struttura perde 1 milione di euro al giorno e le risorse dei commissari iniziano a ridursi. Questo accade mentre l’Amministrazione americana applica dazi sui prodotti siderurgici cinesi e l’Italia ben potrebbe sfruttare questo momento economico.
A settembre scadranno i termini della gestione commissariale: le alternative prevedibili oscillano tra una nuova gara o l’accollo temporaneo dell’azienda da parte dell’Italia (dopo aver bruciato circa 5 miliardi tra invertenti vari) e rispondendo di 1,8 miliardi di debiti. L’accollo peraltro rischia di essere valutato come aiuto di Stato dall’Unione Europea.
Vi sarebbero inoltre anche penali molto importanti da corrispondere ad Am Invesco.
E pensare che il 1 luglio Am Invesco avrebbe potuto prendere piena proprietà dell’impianto ed i lavoratori e la città sperare in un futuro diverso.
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