Contrasto alla povertà: buone intenzioni e scarse risorse.
Il 9 marzo è stato approvata in via definitiva la delega al Governo per regolamentare “strutturalmente” il contrasto alla povertà e riordinare le prestazioni sociali: il Governo nei prossimi mesi dovrà definire nel dettaglio i requisiti.
Lo stanziamento di risorse inserito nella delega è ancora molto contenuto ma per la prima volta assume una diversa connotazione. Sinora tutti i governi avevano lasciato indietro politiche sociali inclusive e si erano dedicati quasi esclusivamente allo studio di politiche sul lavoro: l’ Italia era rimasta l’unico Paese, insieme alla Grecia, privo di una misura nazionale di sostegno.
Per la prima volta viene creato un “terzo pilastro di welfare” che si affianca a pensioni e sanità (che insieme costano 400 miliardi l’anno).
Il degradarsi della condizione sociale di ampie fasce della popolazione, in special modo dopo l’inizio della crisi del 2008, ha comportato la necessità di contrastare il fenomeno in maniera “strutturale”: il mondo del lavoro da quel momento infatti, complici anche le riforme attuate negli ultimi anni, si è decisamente precarizzato e le reti familiari hanno avuto sempre meno possibilità di offrire sostegno economico.
Sinora erano stati diversi e occasionali gli interventi: il reddito minimo di inserimento (fino agli anni ’90), la social card / SIA (Sostegno per l’inclusione attiva, sperimentato dapprima in 12 città e da settembre 2016 operativo su tutto il territorio nazionale), l’ASDI, il FEAD, ecc. La Sia è però destinata soltanto alle famiglie ove sia presente un disabile, o un figlio minorenne o una donna in stato di gravidanza, l’ASDI è destinato ai disoccupati che hanno terminato il sussidio di disoccupazione, il FEAD riguarda i prodotti alimentari agli indigenti, il programma HOMELESS ZERO è destinato ai senza fissa dimora, la NASPI dispone di fondi contenuti per chi perde il lavoro.
Le risorse per l’intero intervento ammontano a 2 miliardi complessivi per il 2017 (compresi i fondi europei) e 2,2 miliardi previsti per il 2018. Considerato che la spesa pubblica è di circa 800 miliardi complessivi, questo intervento risulta davvero minimale, nonché semplicemente un minimo punto di partenza. Sarà previsto un aumento graduale della dotazione economica per poter estendere il numero dei beneficiari alimentando il Fondo denominato “Fondo per la lotta alla povertà” che viene adottato con cadenza triennale.
Il numero delle famiglie che ne saranno interessate nell’arco del 2017 è di circa 400mila, per un totale di 1milione 700mila persone coinvolte. Ancora poche rispetto ai 4milioni e 600mila soggetti che l’Istat ha dichiarato in povertà assoluta: sarà pertanto necessario calibrare attentamente nella legge delega, l’importo e la distribuzione sulla platea (che deve risiedere in Italia da un certo periodo di tempo che sarà fissato dal Governo).
I punti guida per il Governo contenuti nella legge delega sono:
*** istituzione del REI (reddito di inclusione attiva),che sarà omogeneo su tutto il territorio nazionale e sarà diretto a coloro che hanno un ISEE inferiore a 3.000 euro annuo e comunque abbiano un reddito effettivo disponibile che non superi determinate soglie che saranno fissate dal Governo. il REI sarà composto di due elementi: un beneficio economico ed un insieme di servizi alla persona.
Rapportando le risorse disponibili al numero dei beneficiari raggiungibili, un rapido conteggio porta il contributo monetario in 230 euro l’anno a persona. All’importo di 2 miliardi vanno infatti detratte le risorse per i servizi alla persona: questi servizi ora vengono considerati economicamente in via forfettaria, e non si sa se si tratterà di risorse spese bene oppure no. Sul territorio saranno infatti organizzate équipe multidisciplinari (presso i Comuni e/o presso le Regioni) che dovranno occuparsi, oltre che della personalizzazione dei progetti, anche della gestione delle politiche attive e dei percorsi di avviamento al lavoro. In Italia esistono già i Centri per l’Impiego e starà al Governo stabilire se queste procedure di formazione ed avviamento al lavoro debbano essere seguite dai Comuni o dai Centri per l’impiego. Il fatto che l’organizzazione delle politiche attive sia affidata ai Comuni creerebbe una sorta di “dipendenza” dalle Amministrazioni da parte dei soggetti beneficiari e, in particolare, non essendo gli Enti locali precipuamente addetti alle politiche attive del lavoro, (non essendo il personale adeguatamente formato per questo tipo di attività), potrebbe esservi il rischio che le persone siano costrette a “subire” la disponibilità, ove ve ne fosse, anziché seguire un valido percorso di formazione e inserimento idoneo alla persona e alle sue naturali inclinazioni.
L’ aiuto scatterà comunque solo se il capofamiglia aderirà a questo progetto personalizzato di reinserimento socio – lavorativo posto in essere dagli Enti preposti. Dunque non una misura puramente assistenziale-economica ma un atteggiamento attivo da parte dei soggetti beneficiari che dovranno acquisire nuove competenze e/o organizzare diversamente la propria vita.
Avrà una durata predeterminata (molto probabilmente un anno) a cui seguirà un periodo di pausa (molto probabilmente 6 mesi) prima di poter ottenere un nuovo aiuto.
I controlli sui beneficiari saranno realizzati dall’INPS, mentre il rispetto delle prestazioni da parte degli organismi erogatori sarà a carico del Ministero del lavoro.
*** riordino delle prestazioni assistenziali che attualmente esistono. Questo riordino era stato già rinviato dal Parlamento al Governo con una precedente legge delega del luglio 2016, ma sinora non aveva avuto attuazione.
*** coordinamento di tutti gli interventi in maniera egualitaria su tutto il territorio italiano e premio delle forme associative che permettano economie di scala (ad esempio i consorzi tra gli Enti, contrariamente alle recenti norme che chiedevano di sopprimerli).
In precedenza tutti gli aiuti economici erano in un certo qual modo “stratificati”: fondati cioè sull’ appartenenza a particolari gruppi: anziani, disoccupati, disabili, genitori soli. La misura invece ora si baserà sull’esistenza della sola condizione di bisogno economico e non dovrà/potrà essere confusa con le pensioni, i sostegni economici ai genitori, quelli ai disabili e quelli agli invalidi.
Indubbiamente le risorse rappresentano una goccia nel mare degli stanziamenti per le altre voci di bilancio (2 miliardi su 800 miliardi di spesa pubblica) e dovranno essere necessariamente aumentate già dalla prossima legge di bilancio, senza attendere l’integrazione da parte dei Fondi Europei. Sarà inoltre fondamentale definire chi dovrà fare attività formativa, di avviamento e di collocamento al lavoro, perché dirottare male queste poche risorse potrebbe vanificare completamente tutti gli sforzi.
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