Quel che resta da dire

Con un discorso incentrato e personalizzato, diretto al cuore del problema finanziario tedesco,  Mario Draghi, presente ieri alla Commissione affari europei del Bundestag, ha posto la quasi totalità delle attenzioni alla situazione dei bassi tassi di interesse dell’intero mercato finanziario tedesco.

Avendo di fronte a sé il dissenso dell’opinione pubblica che costituisce la base elettorale in subbuglio della cancelliera Merkel (risparmiatori e pensionati, ma anche l’opaca commistione tra politica e Landesbanken) ha anzitutto ribadito che le decisioni prese dal board della Bce sono collegiali e non singole e che, restando sotto il controllo giuridsdizionale, quattro volte l’anno vengono riferite al Parlamento europeo. Una forma impropria di mettere le mani avanti, a delineare i margini di responsabilità.

A seguire qualche nozione basica di politica monetaria con cui ha spiegato quanto nocive siano sia l’inflazione elevata (un temutissimo ricordo storico dell’economia tedesca) sia l’inflazione che resta in zona pericolosamente bassa troppo a lungo, spiega come le decisioni su consumi ed investimenti, in attesa che l’inflazione continui a ridursi,  potrebbero compromettere con una grave depressione l’intero continente a rischio concreto di decretarne il collasso.

Non servono per evitare domande scottanti le rassicurazioni sul fatto che gli interventi di politica monetaria non convenzionale siano stati e siano perseguiti con successo dagli altri Paesi: Draghi non ha spiegato il funzionamento di quei mercati, che, differentemente dalla media europea, sono ancorati alle quotazioni di Borsa ed alla raccolta obbligazionaria, mentre la zona euro è saldamente dipendente dal sistema bancario, che non è propriamente obbligato a reinvestire la liquidità derivante dagli introiti del Qe.

Non racconta infatti, come fa invece l’ultimo bollettino, che molta parte della liquidità che era investita nei titoli acquistati dalla Bce nel suo programma di alleggerimento quantitativo, sono stati destinati altrove: non soltanto non sono andati negli investimenti, ma sono proprio usciti dalla zona euro.

Prospettando di riuscire ad aumentare il tasso di inflazione e di contribuire ad aumentare la crescita del Pil nell’arco del periodo 2015-2018, chiede ai tedeschi di ricordare quanto contenuto in un recente studio della Bundesbank che, in questo periodo di inflazione così contenuta, ha dimostrato come il rendimento dei tassi attuali sia maggiore di quello ottenuto in alti periodi di tassi alti e inflazione elevata, con un risultato netto mediamente inferiore di quello attuale.

Chiede di tener conto del minor carico di costi per finanziamenti a imprese e famiglie di cui beneficia il sistema macroeconomico tedesco e di quanto gli oneri per interessi passivi in Germania siano cresciuti meno di quanto si siano ridotti gli interessi sui risparmi, unitamente all’effetto positivo dovuto all’incremento dei valori azionari e dei prezzi degli obbligazionari, in gran quantità in pancia ai fondi pensione (che vedono così aumentato il valore del loro attivo patrimoniale).

La stoccata arriva da un numero: i 28 miliardi di interessi risparmiati dalla collettività grazie all’operazione di Quantitative easing avente ad oggetto i titoli tedeschi.

Insomma, alla fine del discorso, i risparmiatori tedeschi, in un’ ottica diversificatoria degli investimenti, con la politica monetaria espansiva, potrebbero beneficiare di una generale ripresa dell’economia. Certo, dichiara il Presidente della Bce, vi è il rischio che con la notevole liquidità creata si creino sopravvalutazioni nei mercati: cita il mercato residenziale quale esempio, rassicurando la platea perché non vi sono allo stato attuale elementi che lasciano presagire un riscaldamento in tal senso. Se non fosse che proprio oggi Ubs pubblica un report nel quale si evidenziano le prospettive di inizio di una bolla immobiliare dovuta alla grande liquidità creata negli ultimi anni e i nomi delle città interessate sono anche europee.

Non nega che gli istituti siano gravati da una importante riduzione della redditività per via dei tassi bassi, ma dice velatamente, senza scendere nel dettaglio dei nomi, che vi sono istituti che hanno problemi intrinseci slegati dalla politica monetaria accomodante: i crediti in sofferenza, l’eccesso di capacità e una scarsa innovazione tecnologica, elementi che contribuiscono ad amplificare il problema redditività per le banche tedesche.

Draghi non ha fatto cenno alle previsioni economiche per i prossimi 2 anni: previsioni al ribasso, per non dire stagnanti, dai segnali che arrivano dagli indicatori economici.

Alla richiesta di necessarie riforme per la produttività e per il mercato del lavoro, sempre più digitalizzato e globalizzato, al necessario sviluppo demografico (che indirettamente giustifica la politica dei migranti condotta dalla Merkel)  e l’auspicio che si tornino a fare congrui investimenti corona il suo discorso con una dichiarazione sul mercato unico: nel caso in cui lo stesso non dovesse funzionare le imprese perderebbero l’accesso ad un mercato di 500 milioni di consumatori. Torna cioè sulle premesse con cui il mercato unico fu costruito: segno di forte criticità attuale sulle politiche pubbliche in generale più che sulla sola politica monetaria.

Voci di corridoio dicono che un rappresentante dell’unione democristiana Cdu/Csu, Michelbach, abbia replicato “non siamo italiani” alla richiesta di nuove spese per investimenti.

Dunque, verità non complete alle quali i tedeschi hanno risposto contriti.

Se queste siano solo manovre di mercato pre-elettorale, non possiamo saperlo. Il Qe continuerà, dopo marzo 2017, perché è già scritto nell’ultimo bollettino della Banca centrale europea e la domanda sul quando verranno rialzati i tassi in realtà non avrà ancora risposta per un bel po’.

Il vero problema è che, mentre tutto accade, la liquidità va altrove tranne che agli investimenti ed ai consumi e non mettere vincoli a queste operazioni, potrà farci scoprire, tra qualche anno, che non sono servite ed anzi, hanno creato solo un grosso problema di eccesso monetario.

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