Lehman Brothers: 10 anni dal fallimento bancario che ha cambiato per sempre la storia del mondo

LO SCHIANTO

Tre immigrati tedeschi commercianti nel cotone e nel caffè, erano riusciti a creare una delle più importanti banche d’affari al mondo: l’istituto negli ultimi anni era entrato in crisi di liquidità crescente, non da meno rispetto ad altri istituti, ma il sistema non è pronto ad affrontare crisi simultanee di quelle dimensioni e sceglie di immolarne una.

Il 15 settembre 2008 la Fed di New York richiede a tutti gli attori di Wall Street, un compito, pressoché impossibile: salvare, in brevissimo tempo, la Lehman Brothers.

600 miliardi di dollari di esposizione debitoria bancaria,

150 miliardi di debiti obbligazionari,

gigantesche interconnessioni nel sistema finanziario mondiale,

un complesso gioco societario fatto di “scatole cinesi” che aveva costruito la sua esistenza su operazioni derivate complesse sugli immobili.

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La criticità finanziaria contemporanea di tanti istituti, quel giorno fa scegliere al sistema la fusione tra Bank of America e Merril Lynch e viene salvata quest’ultima.

Lehman Brothers viene lasciata fallire senza la consapevolezza che si sarebbe innestata la peggiore crisi finanziaria al mondo.

Nessuno, e nessun progetto, sono pronti per affrontarne le conseguenze.

In un anno si arrestano i flussi di capitale in tutto il mondo e crollano gli scambi. In 10 anni le tre maggiori banche centrali immettono nel sistema 10mila miliardi di dollari, nel tentativo di frenare una discesa che sembra non finire mai.

E’ soprattutto l’interconnessione mondiale ad essere sottovalutata: in un mondo globalizzato ed immediato, la crisi di un istante e di un luogo inizia a riverberarsi  su tutti gli altri attori con effetto a cascata. Nasce il concetto di “crisi sistemica”: diventa sistemico ogni intermediario la cui possibile crisi crea un effetto immediato sugli altri, demolendo il sistema di fiducia.

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COSA ACCADE SUBITO DOPO

La crisi finanziaria coinvolge tutti gli attori del sistema: si riverbera la più grave crisi economico finanziaria della storia e coinvolge in pieno soprattutto l’Italia, sia per il suo elevato livello di indebitamento, sia per il suo scarso livello di produttività.

Il Prodotto interno lordo crolla di oltre il 10%, gli investimenti del 30%.

Le aziende falliscono e i rendimenti bancari si azzerano con il crollo del sistema.

Il Paese subisce l’attacco al debito pubblico: le banche smettono di concedere credito.

La propensione al risparmio si annulla, i risparmi iniziano ad essere intaccati.

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COSA E’ CAMBIATO

Molto, ma ancora troppo poco.

Si persegue prudenza con un insieme di regole molto stringenti sul capitale bancario, tendente a fare in modo che il prezzo delle crisi non ricada sui contribuenti. Nel mentre sino a quel momento il Tesoro era responsabile politicamente e rappresentava una sorta di garanzia in caso di crisi bancaria, in Europa si sceglie, dopo una serie di salvataggi in cui i contribuenti anticipano temporaneamente i fondi, di utilizzare solo risorse private nelle crisi bancarie. Nasce il meccanismo del bail in: creato per evitare che il costo delle crisi possa ricadere sui cittadini.

A distanza di 10 anni, l’architettura finanziaria europea si presenta ancora costruita in maniera imperfetta:

la vigilanza bancaria deve essere ancora completata perseguendo rigore ma anche tempestività nella previsione delle crisi,

l’unione del mercato dei capitali deve ancora avere una sua idonea configurazione,

l’unione bancaria non è ancora iniziata e lo sarà solo quando ci sarà una effettiva condivisione dei rischi (a partire dai depositi bancari),

gli Istituti sono ancora strettamente legati alle sorti del loro Paese e la globalizzazione, in questo senso, non è ancora sufficiente a distribuire i rischi su attori di vari Stati,

vengono aumentati i mezzi propri nella dotazione di capitale delle banche: aumentano le passività da sottoporre a bail in e, come conseguenza, chi partecipa come azionista e obbligazionista è esposto a maggiori rischi e chiede ritorni più consistenti: aumentano i costi del credito,

le regole prudenziali, destinate a sostenere un sistema bancario tendenzialmente sano e libero di operare senza rischiare ogni qualvolta si verifica una turbolenza,  diventano numerose (creando incertezza) e in taluni casi appaiono come vere e proprie manovre di stretta creditizia,

non è stato ancora adottato un meccanismo unico di risoluzione degli Istituti di credito.

i crediti deteriorati restano l’elemento più negativo del sistema bancario, e si cerca di smaltirli al fine di alleggerire i bilanci e permettere la concessione di nuovo credito

*la cessione dei crediti inesigibili deve avvenire a valori che non distruggano l’attivo delle banche, e ne migliori, di conseguenza, i requisiti patrimoniali,

*gli Istituti devono realizzare accantonamenti in maniera tempestiva per evitare che si debbano fronteggiare nuovamente valori imponenti di NPL da smaltire,

*viene agevolato lo smaltimento dei crediti mediante l’istituzione di piattaforme dedicate “bad banks”.

Fondamentalmente l’Europa sembra orientata a condividere i rischi solo se riesce a controllare le politiche fiscali dei paesi che passano sotto la sua responsabilità, chiede soprattutto che si rompa il cordone ombelicale che unisce Istituti e Stati: vi è però anche il problema che ogni trattativa iniziata sul tavolo bancario finisce per scendere in dispute che riguardano essenzialmente le regole di governance dell’eurozona.

Non hanno imparato la lezione, invece, negli Stati Uniti: sotto la Presidenza Trump sono state alleggerite e diluite le regole  incardinate subito dopo la crisi del 2008. Oggi, dopo il default di Lehman, nato dall’intreccio e dall’assenza di regole certe e ben definite, si assiste ad una fuoriuscita dai controlli di vigilanza rafforzata di numerosi Istituti, come ad una riduzione del numero di Banche sottoposte a stress test periodici, anche nella contingenza di un lungo periodo di ripresa economica.

Nel mondo si sta sviluppando lo shadow banking, un sistema finanziario non regolamentato che gestisce enormi flussi finanziari, e che non è sotto il controllo formale di nessuna istituzione centrale o periferica.

COME E’ CAMBIATA LA VISIONE POLITICA

Dalla crisi Lehman Brothers  sono cambiati i paradigmi della politica.

Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda, Italia, hanno rappresentato, nel tempo, diverse facce di una stessa medaglia: quella di non aver tenuto in debita considerazione le interconnessioni della globalizzazione.

Il libero mercato della democrazia e dell’apertura dei confini, appare oggi come la causa originaria di quello che viene definito populismo, che non è altro che il frutto finale di una serie di passaggi cruciali.

L’austerità conseguente alla crisi ha distrutto intere economie,

le banche centrali hanno immesso liquidità permettendo indebitamento privato e pubblico che oggi ha raggiunto livelli enormi,

una intera generazione si è ritrovata senza speranza, non pronta per questo cambiamento di vita epocale.

La politica ha tentato, pur in ritardo, di rianimare le economie, ed è stata odiata dalle persone che vivono la quotidianità: si è consegnata la gestione della cosa pubblica all’uomo spesso non preparato, utilizzando il fenomeno dell’odio, in tutte le sue forme.

Complice il meccanismo di comunicazione mirata e virale, l’opinione pubblica non chiede più, come in passato, un programma serio che punti al progresso: chiede il racconto, il sogno, l’emozione.

Una lotta che vince chi sa raccontare meglio, anche se incapace a comprendere e gestire problemi complessi.

COSA CI ASPETTA

Il rapporto Ocse 2018, appena pubblicato, racconta di un programmato, necessario e possibile rientro delle enormi politiche monetarie, suggerendo cautela. Ricorda che le interdipendenze esistono ancora nei prodotti derivati. Pone l’accento sulle tensioni commerciali che potrebbero compromettere intere catene del valore. Ricorda che il prezzo del petrolio potrebbe ritornare a salire. Si preoccupa di una inflazione che potrebbe aumentare più del previsto e se le banche centrali fossero costrette ad aumentare i tassi velocemente si metterebbe  a rischio la ripresa  e la fiducia dei mercati.

Incombono rischi. Enormi.

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