In attesa delle elezioni europee del giugno 2019, il Presidente del Consiglio europeo Tusk ha stabilito, nei mesi scorsi, un percorso per presentare entro il mese di giugno 2018, un accordo quadro per la riscrittura delle regole dell’Unione Europea, sulla scia della stagione di riforme avviata con la Dichiarazione di Roma del 25 marzo 2017.
Il progetto europeo viene rilanciato al fine di evitare gli effetti di una possibile nuova crisi che potrebbe essere oggi affrontata soltanto con i limitati strumenti di politica monetaria in mano alla Banca centrale e l’attuale fondo salva Stati.
L’Unione Europea aveva scritto in maniera incompleta le sue regole nel momento fondativo: venne ceduta la sovranità monetaria ma non fu pensata l’unione politica,
che nella realtà ha lavorato nelle più importanti decisioni strategiche quando si sono presentate le crisi degli Stati
ed è intervenuta annualmente, ove necessario, nella sistemazione dei bilanci.
Il tempo ha dimostrato che all’Unione Europea sono mancate le politiche fiscali automatiche da adottare nei momenti di crisi e che, operando in maniera anticiclica, avrebbero probabilmente anche evitato il nascere di partiti euroscettici.
CHI SI ACCORDA
Nel frattempo Merkel e Macron hanno sottoscritto un accordo per
-rinforzare insieme l’eurozona, portandone avanti l’integrazione,
-completare l’unione bancaria,
-creare una politica estera e di difesa.
Anche Gentiloni e Macron avevano concordato un approccio per la riscrittura delle regole:
– riformare la governance dell’Unione,
-completare l’unione bancaria,
-realizzare l’omogeneità fiscale e giuridica tra i due Paesi,
-potenziare le infrastrutture (ivi comprese le reti Trans europee di trasporto).
LA BREXIT
L’Europa nel frattempo affronta anche il conto Brexit, una situazione inedita e complessa che procurerà un buco finanziario oscillante tra i 10 e i 13 miliardi l’anno, per i quali potrebbero essere ridotti i fondi all’agricoltura e alla coesione (di cui l’Italia è uno dei principali beneficiari) nel bilancio 2021-2027.
LE PROPOSTE
Nella riscrittura delle regole, alcuni Paesi hanno proposto che:
– in caso di crisi vengano aiutati solo gli Stati che rispettano le regole del patto di stabilità e crescita,
-non vi siano diverse velocità di progressione dei lavori (Stati che avanzano e Stati che restano indietro),
– le decisioni di politica fiscale restino in mano agli Stati e non all’Unione Europea.
Altri chiedono che, per poter condividere i rischi bancari, oltre a ridurre i crediti deteriorati nelle banche, bisogna evitare e rompere definitivamente il legame tra le banche e il debito pubblico della nazione, per poter arrivare alla garanzia unica europea sui depositi bancari.
In questo periodo c’è anche da valutare l’addendum proposto dalla Banca centrale europea, che importante impatto potrebbe avere sul sistema bancario a causa degli accantonamenti a cui potranno essere costretti gli Istituti italiani nel prossimo futuro e le conseguenze sulla possibilità di erogare prestiti a cittadini e imprese.
LA SITUAZIONE ITALIANA
L’Italia si presenta con questi dati economici alla riscrittura delle regole europee:
-il più elevato rapporto tra debito pubblico e Pil dell’Unione europea,
-la più elevata spesa per interessi in termini percentuali di Pil,
-il più basso tasso di crescita e l’impossibilità di recuperare tempestivamente il terreno perso durante la crisi,
-un dossier aperto sui conti del 2016 per la verifica del rispetto degli obiettivi di rientro del debito (in ballo il meccanismo di calcolo sull’importo del salvataggio delle banche),
-un dossier aperto sui conti del 2017 sempre per il rispetto della regola del debito.
i RISCHI SUI CONTI PUBBLICI
In attesa dei dati economici definitivi Eurostat del 2017 (entro aprile), tutte le possibili richieste della Commissione europea verso l’Italia sono state “congelate”, così come la possibile manovra aggiuntiva giustificata dal “rischio di scostamento dagli obiettivi concordati” (con la possibile apertura di una procedura di infrazione con conseguente sanzione o limitazione nell’uso di fondi comunitari).
Al momento i dati Istat di marzo hanno evidenziato un debito del 131,5% mentre la Commissione europea aveva previsto il 132,1. Positivo anche il deficit rilevato dall’Istat: 1,9% rispetto al 2,1% previsto dalla Commissione.
IL DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA DA SCRIVERE
Il Documento di economia e finanza (il più importante strumento di programmazione economica) che sarà definito entro aprile, probabilmente conterrà
-la descrizione del solo quadro finanziario internazionale e -l’aggiornamento del quadro di finanza pubblica tendenziale (pil, debito, deficit, avanzo primario).
Non conterrà il programma nazionale di riforma, né il programma di stabilità (gli obiettivi programmatici del Governo) che saranno rimandati all’autunno,
momento che sveglierà molti sognatori dalle promesse ricevute in campagna elettorale.
LE CLAUSOLE DI SALVAGUARDIA DA COPRIRE
L’Italia dovrà anche affrontare le clausole di salvaguardia impegnate nei suoi recenti bilanci:
12 miliardi per il 2019,
19 miliardi per il 2020.
L’aumento dell’iva (dal 10 all’11,5% e dal 22 al 24,2%) potrebbe costituire un importante freno alla già flebile ripresa.
Sinora i Governi italiani, per sistemare i conti, hanno usato la leva del deficit e contato sulla crescita, oltre che trattare politicamente l’utilizzo degli spazi di flessibilità.
Ma senza stabilità e senza concretezza sarà difficile ottenere concessioni politiche di qualunque tipo.
Aprile e maggio, mesi cruciali per le trattative di bilancio, vedranno l’Italia impegnata nella formazione del Governo, invece che nella definizione dei conti pubblici
e nella riscrittura delle regole della casa europea.
A giugno arriveranno le raccomandazioni per Paese della Commissione Europea.
E’ auspicabile che il Paese si metta al lavoro urgentemente perché le decisioni istituzionali europee necessarie all’avanzamento, non risultino, domani, come una politica subìta dall’esterno (come è accaduto con il bail in)
e non ci si presenti tardivamente al tavolo delle negoziazioni, dimostrando una seria debolezza nonché il rischio di esclusione dalle decisioni più rilevanti.
Ed è necessario anche mettere in sicurezza i nostri conti pubblici, prima che sia troppo tardi e i mercati ce lo ricordino a caro prezzo.
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