Referendum in Veneto e Lombardia

22 ottobre 2017
Con il referendum si è andati a dare forza alla possibilità che dà l’articolo 116 della Costituzione: le due Regioni intendono chiedere la gestione delle materie indicate nel successivo articolo 117 in cui hanno una competenza a legiferare solo parziale, per arrivare ad ampliarla.
Si tratta di 20 materie definite “concorrenti” cioè soggette alla decisione sia dello Stato che delle Regioni.

Ovviamente trattenendo le materie (tutte o alcune) sarà necessario far restare sul territorio le risorse finanziarie che già oggi le Regioni trasferiscono allo Stato centrale.

Con questo referendum (che non è vincolante) entrambe le Regioni hanno acquisito maggiore forza politica per andare a trattare con il Governo: dopo il referendum l’iter non è semplice ma è in discesa.
Ad entrambe le Regioni sarebbe bastata la semplice iniziativa regionale per iniziare le trattative con il Governo senza indire il referendum (che ha sostanzialmente appesantito il procedimento). Il risultato referendario ha però portata e valenza politica importanti perché si è passati tramite la legittimazione dei cittadini.

Da questo momento saranno necessari alcuni passaggi istituzionali:
* una consultazione con gli Enti locali,
*un provvedimento di Consiglio Regionale per arrivare ad avere
*un’intesa Stato – Regione che potrà sfociare in
*una proposta di legge che dovrà essere votata in doppia lettura nelle due Camere del Parlamento a maggioranza assoluta.

Ognuna delle due Regioni ha delle sue specifiche priorità da portare avanti:
la Lombardia chiede maggiori competenze
– nell’ internazionalizzazione (parte dalla Lombardia il 30% dell’export italiano per 111 miliardi),
– sostegno ad innovazione e ricerca,
– tutela dell’ambiente (includendo le bonifiche).
Il Veneto intende avere controllo sulla
– politica industriale (non accettando che l’Italia possa avere una politica industriale unica se le zone del Paese presentano differenze sostanziali),
– formazione e lavoro,
– protezione civile
(la politica industriale potrebbe arrivare ad includere la gestione delle infrastrutture pubbliche).

Certo si tratta di un passaggio delicato: in primo luogo perché le altre Regioni non si trovano nella stessa posizione di forza nei confronti dello Stato centrale non essendo ugualmente ricche,
in seconda battuta perché si è in prossimità delle elezioni.
Sicuramente riavvicinando le entrate fiscali al territorio, si accentua il processo di avvicinamento tra l’eletto e l’elettore e con questo aumentano le responsabilità del primo.

Il conteggio delle risorse finanziarie da trattenere non sarà semplice: si parla della differenza tra quanto si versa e quanto torna indietro alla Regione, ma bisognerà valutare adeguatamente l’incidenza di tutte le spese tipiche per ogni Regione (per esempio l’incidenza delle spese istituzionali, concentrate prevalentemente nel Lazio).

Il Governo centrale potrebbe non dare alcun seguito alla consultazione, ma anche questo sarebbe un segnale politico poco idoneo per un periodo pre-elettorale che potrebbe rivelarsi un boomerang per il Pd. Peraltro, nel caso di vittoria della coalizione del centro destra alle politiche 2018 (insieme ad un’altra coalizione visto che la nuova legge elettorale spinge in questa direzione), il progetto di autonomia delle due Regioni sarebbe solo rinviato al dopo elezioni.

Complessivamente, con questo referendum i partiti si sono anche contati. In specie Lega e Forza Italia, essendo assenti dal Governo del Paese da 6 anni, ed avendo “mescolato” il proprio voto nel referendum del 4 dicembre insieme agli altri partiti, avranno la possibilità di studiare l’orientamento dell’ elettorato che “traina” (non bisogna dimenticare che l’assegnazione dei seggi in Parlamento avverrà con conteggi su base nazionale).

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