1 novembre 2017
UNA LEGGE FATTA DAL PARLAMENTO
La Corte Costituzionale, con due diverse sentenze (numero 1 del 2014 e numero 35 del 2017), ci aveva lasciato una diversa composizione – e diversi presupposti – nella formazione dei due rami del Parlamento, ma non è la Corte Costituzionale l’organo legislativo in Italia.
Il Parlamento ha riscritto la legge elettorale, tenendo conto delle indicazioni emerse dalle due sentenze, evitando così anche l’intervento del Governo che avrebbe dovuto emanare un decreto per uniformare diversi aspetti e superare molte importanti differenze esistenti tra i due sistemi sopravvissuti (che avrebbero compromesso il funzionamento delle istituzioni).
I risultati diversi tra le due Camere avrebbero creato instabilità per i futuri Governi, compromesso l’efficienza operativa e la solidità del sistema parlamentare, che, è bene ricordare, accorda e revoca la fiducia al Governo.
Oggi esistono requisiti (minimi, speriamo sufficienti) per garantire la rappresentatività del popolo e la governabilità del Paese e dei suoi problemi.
Non è da dimenticare che (fortunatamente) il Paese ha rinunciato, votando NO alla riforma Costituzionale del dicembre 2016, alla governabilità che dava, in quel contesto, diversi poteri a Camera e Senato.
LA SITUAZIONE
L’Italia è ancora assillata da numerosi problemi, persa nella selva delle sue leggi, con un livello di disoccupazione ancora elevato, e con molte persone gravemente coinvolte dai postumi della crisi degli ultimi anni. Deve contenere un debito pubblico che rischia di aumentare vertiginosamente rispetto ad una ripresa economica che stenta a decollare (bloccata anche dalle aree meno produttive del territorio). Deve partecipare alla riscrittura delle istituzioni europee.
E’ necessaria una guida, anche sotto forma di coalizione governativa, legittimata dal popolo.
DIFFERENZE TRA LE DUE SENTENZE
In sintesi, queste erano le differenze di costruzione dei due rami del Parlamento, uscite dalle due sentenze della Corte Costituzionale.
Nel Senato erano ammesse le coalizioni tra liste, la Camera era senza coalizioni.
Nel Senato vi era un articolato sistema di soglie di sbarramento, nella Camera sarebbero entrate le liste con almeno il 3%.
Per il Senato era stata dichiarata l’incostituzionalità nella mancanza di espressione di almeno una preferenza, per la Camera ogni lista aveva un candidato capolista insieme ad un elenco di candidati per esprimere uno o due voti.
Nel Senato non era prevista alcuna formula per garantire la maggioranza di genere, la Camera aveva la forza della rappresentanza di genere.
Nel Senato non c’era un premio di maggioranza, alla Camera c’era un premio di maggioranza per chi raggiungeva il 40% dei voti validi.
Dalla combinazione di questi elementi, non usciva un gruppo che potesse governare stabilmente.
PREFERENZE
Si ritorna ai collegi elettorali, cioè il posto in cui il cittadino incontra il suo candidato.
Il tedeschellum (che aveva a giugno quasi il 90% dei consensi delle forze parlamentari) aveva i capolista bloccati. Dimenticato.
Il mattarellum aveva un’ampia quota di nominati nei collegi uninominali. Dimenticato.
Bisogna chiamare le cose con il giusto nome e la preferenza, a volte, non è nient’altro che uno scambio: ti darò qualcosa nel futuro se mi dai il voto. Oppure dammi il voto perché ti ho dato qualcosa nel passato.
Perché non ammettere che in alcune zone del Paese le preferenze possono condizionare in maniera determinante l’esito del voto? (ringraziamento per quanto avuto o promessa di avere qualcosa per il futuro).
Le preferenze ci sono perché saranno comunque indicati i nomi. Se non piacciono, si possono non votare.
PROPORZIONALE O MAGGIORITARIO
L’attuale legge è maggioritaria per il 36%, e per il restante è proporzionale.
Il Mattarellum (in vigore dal 1993 al 2005) aveva le proporzioni invertite (collegi uninominali al 75%). Ed in molti volevano il Mattarellum adesso.
Anche il Tedeschellum aveva 2/3 maggioritario e 1/3 proporzionale: ci stava lavorando la quasi totalità delle forze politiche.
E’ vero che in una situazione tripolare nessun partito può vincere in maniera ampia le elezioni, ma potrebbe (e dovrà) formarsi un governo di coalizione.
Abbiamo detto NO convintamente alla riforma costituzionale che, combinata con l’Italicum, dava un Governo monocolore la sera stessa delle elezioni. Adesso, non vanno bene le coalizioni di Governo da realizzare dopo le elezioni.
Abbiamo detto NO convintamente all’uomo solo al comando, e adesso, nonostante esistano già le coalizioni per le Amministrative, diciamo no ad un Governo di accordo.
Non è colpa degli altri se alcuni partiti non vogliono entrare nelle coalizioni di Governo.
Una parte politica contraria a questa legge elettorale era in coalizione quando prese il premio di maggioranza – dichiarato incostituzionale – ed entrò in Parlamento, ma nel tempo, pian piano, si separò dall’originaria coalizione che l’aveva portata nelle Aule.
Ed un’altra parte politica venne eletta grazie ad una legge dichiarata incostituzionale: non sono mai usciti spontaneamente dal Parlamento perché la loro elezione era stata irregolare.
Viviamo in un tempo in cui probabilmente il Paese andrà avanti soltanto perché ci si mette a lavorare insieme unendo forze e capacità. Che sia almeno un presupposto per poter iniziare.
VOTO DISGIUNTO
Qualcuno ha anche osato pensare di chiederlo, come se avesse un senso votare un partito nel proporzionale e un altro partito nell’uninominale. Per formare quale Governo?
APPROVAZIONE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Il Presidente non dovrà apporre la propria firma solo se il provvedimento dovesse contrastare palesemente, in maniera chiara, con la Costituzione. Dunque, firmerà.
FIDUCIA
La fiducia è stata apposta per superare lo scoglio dei voti segreti. A giugno, sul tedeschellum, gli accordi presi in commissione saltarono per un voto segreto. Qualcuno ha la responsabilità della diversa decisione presa in Aula su quel voto segreto che mandò in frantumi gli accordi.
Tra i molti che contestano, ci sono coloro che qualche tempo fa sostenevano il mandato imperativo ed il voto palese. Molto probabilmente sono gli stessi che con il voto segreto di giugno hanno mandato all’aria gli accordi e che avrebbero fatto saltare anche questa legge elettorale con il voto segreto: avrebbero avuto il coraggio di mandare in tilt le istituzioni. Da riflettere.
“ANDREMO A GOVERNARE”
Si governa almeno con il 51% dei voti. Chi dispone di una percentuale inferiore e non vuole entrare in coalizione sta promettendo qualcosa che non può realizzare. Si tratta di promesse vane, e di fronte a queste bisognerebbe aprire gli occhi.
Oggi un elettorato così frammentato, per assurdo, impedisce grandi accordi pre, ma anche post, elettorali. Il rischio resta e speriamo che la voglia di lavorare per il bene del Paese prenda il sopravvento per unire le forze.
CONCLUSIONI
Certamente le soluzioni potevano essere anche altre, ma ci troviamo con un sistema istituzionale che è stato messo in sicurezza, almeno in prospettiva.
Sino ad oggi non è mai emersa “la legge elettorale migliore al mondo”: sarebbe stato semplice applicarla.
Soprattutto, non è stata trovata ancora una legge elettorale che faccia vincere senza avere i voti.
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