La spesa pubblica e la sua revisione

5 luglio 2017

Il processo di “spending review” ha visto coinvolti tutti e 3 gli ultimi Governi, nonché diversi “commissari” che non hanno avuto vita semplice, tutti alla ricerca di risparmi e di razionalizzazione per far in modo che il Governo di volta in volta in carica, potesse al meglio disporre delle risorse.
Uno degli elementi principali che caratterizza la revisione della spesa è infatti che mentre essa viene ridotta in un segmento, viene poi spostata, a seconda degli obiettivi di governo, per essere spesa su altre voci e su altre azioni.
Considerato l’alto debito italiano, bisognerebbe che il Paese riducesse la sua tentazione di spendere, e destinasse le risorse che trova a ridurre gradualmente il debito e, soprattutto, a ridurre gradualmente la pressione fiscale.
Sinora i risparmi sono andati all’attuazione del programma di governo, al sostegno dei settori danneggiati dalla crisi degli anni 2008 e seguenti, ad un generale mantenimento di un adeguato livello di Pil. 

L’obiettivo più arduo da raggiungere è infatti l’abbassamento del rapporto tra indebitamento e Pil (se si riduce la spesa si riduce il Pil, bisogna ridurre invece l’indebitamento senza incorrere nella riduzione del Pil).
La spesa pubblica complessiva italiana del 2016 ammonta ad euro 830 miliardi: il Pil totale del 2016 ammonta a 1568 miliardi per cui il settore pubblico pesa concretamente per oltre la metà.
La politica monetaria della Bce ha ridotto considerevolmente il peso degli interessi (66 miliardi contro gli 83 miliardi del 2012) lasciando spazio di azione che sinora non è stato proprio ottimamente sfruttato.
Gli 830 miliardi sono così ripartiti:
66 miliardi interessi sul debito pubblico,
337 miliardi la spesa per il sociale
57 miliardi gli investimenti
40 miliardi la spesa corrente non aggredibile,
327 miliardi la spesa su cui si è potuto (si può) lavorare nella riduzione o nella riqualificazione.
I 337 di spesa per il sociale riguardano la spesa previdenziale, gli ammortizzatori sociali e la sanità. Nonostante le drastiche riforme degli ultimi anni che hanno alzato l’età pensionabile, si è dovuto far fronte sia ad 8 interventi di salvaguardia degli esodati, che ad importanti gobbe demografiche inevitabili : i nati degli anni 50 sono più dei nati negli anni ’70. Questo ha comportato un aumento della spesa previdenziale (che era già in crescita fino al 2010 come ci ricorda Cottarelli nel suo noto libro), che è andato ad aggiungersi all’aumento per gli ammortizzatori sociali esplosi con la crisi economica iniziata nel 2008. Vi è da ricordare che resta ancora in piedi il meccanismo con il quale una parte dei pensionati percepisce una pensione non correlata ai versamenti fatti durante il periodo lavorativo.
Nel settore sanitario, (tenendo conto che il Patto per la salute stipulato nel luglio 2014 prevedeva che ogni risparmio dalla sanità fosse reinvestito nel settore stesso) sono stati aggregati gli acquisti ed efficientate le strutture ospedaliere (ricalcolandone la performance economica, individuando le strutture con le performance economiche insoddisfacenti, stipulando piani di rientro che se non realizzati ne avrebbero comportato il programma di soppressione), con l’ampliamento degli orari di apertura degli ambulatori con i quali vengono in parte realizzati servizi migliori a prezzi inferiori. Come ci indicava Cottarelli, tra l’altro, la spesa sanitaria tende ad aumentare sia per l’invecchiamento della popolazione, sia perché i prezzi dei prodotti tendono ad aumentare più dell’inflazione media.

Gli investimenti, una delle poche voci di spesa che produce ricchezza in un’ottica di proiezione futura, invece di aumentare, negli ultimi 4 anni si sono ridotti, e ciò nonostante 5 miliardi di flessibilità avuti dal Governo per la manovra del bilancio con la promessa di rilanciare gli investimenti. In particolare si sono ridotti i contributi agli investimenti delle Amministrazioni pubbliche e delle famiglie, gli investimenti fissi lordi, mentre sono lievemente aumentati i contributi per investimenti alle imprese.
Nei 337 miliardi di spesa da ridurre o riqualificare vi sono voci numericamente intoccabili: oltre l’80% è rappresentata dal costo del personale e dagli acquisti di beni e servizi. Il personale, nel triennio 2013 – 2016, al netto della scuola, si è ridotto di 84mila unità (Cottarelli identificava in 135 miliardi gli oneri per i dipendenti pubblici), mentre il settore difesa, con il progetto Di Paola, ha consentito di far passare le forze armate da una dotazione di 220mila a 170mila unità. L’accordo con i sindacati firmato il 30 novembre 2016 prevede aumenti medi da 85 euro al mese dopo il blocco dei contratti dei dipendenti pubblici: aggiungendo questo accordo all’allargamento del turn over previsto per i Comuni, si arriverà facilmente ad un incremento della spesa futura per il personale di circa 5 miliardi l’anno.

La voce di costo del personale dunque è destinata ad aumentare e dovrà incrociarsi con gli 80 euro mensili: l’aumento contrattuale potrebbe infatti azzerare il beneficio degli 80 euro. Il Governo ha promesso che sterilizzerà gli effetti dell’incrocio delle due somme. Un obiettivo sicuramente importante e costoso.
Dall’aprile 2014 sono stati realizzati interventi negli acquisti di beni e servizi con la centralizzazione realizzata da Consip, che ha ridotto la frammentazione delle stazioni appaltanti, diminuito l’inefficienza e gli sprechi della spesa locale e regionale, imposto prezzi di riferimento a mercati che nessuno controllava. Oltre alla Consip è operativo il tavolo dei 35 soggetti aggregatori che racchiude 35 unità distinte per categorie alle quali è obbligatorio affidarsi negli acquisti (altrimenti le autorità non rilasciano i codici identificativi di gara).
Per i trasferimenti agli Enti locali sono stati definiti parametri di riferimento come i costi standard e i fabbisogni standard, ed a questi, anziché alla spesa storica, si parametrano gli importi che vengono trasferiti dallo Stato centrale. Sempre in economia degli Enti locali, sono state stimolate le aggregazioni di piccoli Comuni, nonché l’utilizzo di nuove tecnologie sulla pubblica illuminazione (con co-finanziamenti europei) e sui processi informativi.

Un passaggio importante è rappresentato dalla legge in attuazione della riforma del bilancio pubblico che prevede che la revisione della spesa diventi una componente fissa nella proposta annuale di ogni Ministero. Problema che si è trascinato di anno in anno, ha visto la luce il 28 giugno, con la firma del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la definizione degli obiettivi di spesa triennali dei singoli Dicasteri. Sulla base di questo decreto, ciascun Ministero dovrà così indicare le azioni che intende intraprendere per realizzare i tagli che ha deciso: questo passaggio eliminerà le trattative in sede di bilancio tra il Mef ed i singoli Ministeri e d’ora in poi farà muovere i Ministeri in un’ottica di programmazione. Quattro saranno per i Dicasteri gli obiettivi di spesa che resteranno immuni dalle prossime spending review: gli investimenti fissi lordi, le calamità naturali e gli eventi sismici, l’immigrazione ed il contrasto alla povertà.

La Corte dei Conti, nella relazione sul rendiconto generale dello Stato (che già lo scorso anno aveva evidenziato come nella revisione della spesa fossero state tagliate prestazioni in diritto dei cittadini) ha dato un giudizio complessivamente poco confortante sulle misure sinora adottate: confermando l’aiuto ai comparti produttivi, ha rilevato che non si è contenuto il livello complessivo della spesa (il cui taglio è stato in effetti variamente reimpegnato), riscontrato che l’applicazione del metodo Consip risulta ancora molto limitata, sollecitato al reimpiego negli investimenti, evidenziato che le irregolarità e gli illeciti penali sono ancora frequentissimi e che la spesa può essere più efficiente contrastando con efficienza questi comportamenti, auspicato che vi sia una ferma e decisa riduzione del debito.

Molte delle decisioni di “efficientamento” della spesa sinora attuati si rifanno ai suggerimenti di Cottarelli nel suo testo “La lista della spesa”: la programmazione della spesa dei Ministeri, gli incentivi premiali per i dirigenti pubblici, lo sviluppo di Consip e dei 35 soggetti aggregatori, la riunificazione della gestione Aci – Pra, l’efficientamento energetico dei Comuni, la determinazione di fabbisogni standard e costi standard, la necessità di riduzione delle partecipate pubbliche.

Restano inevasi i suggerimenti sul contributo di solidarietà a carico di chi percepisce una pensione non maturata con il sistema contributivo, il taglio dei costi della politica, la riallocazione del personale in esubero da un ente all’altro, il taglio delle spese per gli armamenti, l’eliminazione del “concerto” dei provvedimenti tra i Ministeri che allunga i tempi decisionali ed, in generale, l’efficienza della spesa.

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