Le due banche venete tra trattative e normativa del bail in.

26 giugno 2017

LA NORMATIVA
A fine 2015 l’Italia ha approvato la norma sul bail-in con la quale, in caso di insolvenza bancaria rispondono, nell’ordine: azionisti, obbligazionisti subordinati, obbligazionisti privilegiati (detti senior), correntisti sopra a 100mila euro. L’approvazione di questa norma è stata in realtà retroattiva, comportando con ciò che gli obbligazionisti subordinati che avevano già sottoscritto quei titoli (cioè il secondo gruppo di investitori che rispondono delle perdite) fosse in realtà costituito da famiglie italiane che fino a quel momento avevano investito in quella tipologia di titoli, oltre 100 miliardi di risparmi. In buona sostanza la norma sul bail-in intende recuperare, in caso di insolvenza della banca, le somme all’interno della banca stessa (e non dai contribuenti).
In alternativa, qualora ne ricorrano i presupposti, si può applicare la “ricapitalizzazione precauzionale” che prevede la quantificazione delle perdite registrate e di quelle attese dell’istituto in crisi e la loro copertura da parte di investitori privati. Con questa copertura (che avviene da parte di azionisti e obbligazionisti subordinati), lo Stato può intervenire nazionalizzando la banca e ricollocarla sul mercato. Questo intervento pubblico è giustificato per evitare o rimediare ad una grave perturbazione dell’economia e per preservare la stabilità finanziaria. Complessivamente, in questa ipotesi lo Stato interviene per: fornire liquidità, dare garanzie sulle obbligazioni di nuova emissione (prestiti acquisiti dal mercato), entrare nel capitale e restituire successivamente la banca al mercato.
La terza alternativa è quella che è stata trovata per le banche venete: rispondono gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati delle perdite sinora avute, e risponde lo Stato (con la liquidità e con le garanzie) di tutte le ulteriori richieste fatte da un istituto di credito privato disposto a rilevare i due istituti.

I benefici di questa terza alternativa sono:
*evitare una crisi sistemica del settore bancario italiano,
*evitare danni economici e mancanza di credito ad una parte importante del sistema produttivo italiano, strategica per la ripresa del Paese e fra i territori più industrializzati d’Europa,
*evitare conseguenze sui correntisti di qualunque importo,
*evitare conseguenze sugli obbligazionisti privilegiati,
*evitare la perdita di posti di lavoro.

LA SITUAZIONE DELLE DUE BANCHE NEGLI ULTIMI 4 ANNI
In generale tutti gli istituti di credito italiani hanno una bassa redditività, portata dai bassi tassi attualmente in essere, un discreto indebitamento, una notevole quantità di crediti deteriorati nonché una scarsa qualità degli attivi in cui hanno investito (prestiti e titoli). Le banche, che hanno retto l’Italia dagli anni ’30 in poi, hanno visto tracollare un quarto della produzione industriale dal 2007 in poi, subendo insieme alle imprese la peggiore crisi economica in tempo di pace per arrivare ad avere oggi 200 miliardi di sofferenze e 100 miliardi di crediti incagliati (con la speranza non diventino sofferenze in futuro). Le due banche hanno bruciato oltre 15 miliardi negli ultimi quattro anni, costrette a rimettere a posto i loro bilanci dalle norme e dalla vigilanza, portate a ciò anche da una gestione piuttosto clientelare del credito concesso.
Lo scoppio di questa crisi deriva dalla crisi finanziaria del 2007 e fa seguito alle importanti crisi dei nostri tempi come Monte Paschi e le 4 banche allungando altresì l’elenco dei nomi degli istituti di credito che sono incorsi nelle crisi durante la storia del nostro Paese: Italcasse, Banca privata italiana, Banco Ambrosiano, Banco di Napoli, Banco di Sicilia, Sicilcassa solo per citarne alcune tra le tante.

PRINCIPALI PROBLEMATICHE INCONTRATE
Hanno inciso negativamente sulla decisione i tempi operativi di Bruxelles e Francoforte, perché la gestione di problemi finanziari richiede tempestività di intervento che mal si concilia con le burocratiche tempistiche europee. Ha inciso negativamente la retroattività della norma sul bail-in, che ha fatto diventare titoli ad altissimo rischio quelli acquistati negli anni addietro dalle famiglie, con ciò alzando l’attenzione per trovare una soluzione che evitasse il più possibile perdite ai risparmiatori. Ha inciso nella soluzione del problema la necessità di realizzare un intervento che non fosse considerato dalla Commissione Europea come “aiuto di Stato”.

LE FASI DELLE TRATTATIVE
In una prima fase, con cui si poteva attuare la ricapitalizzazione precauzionale e conseguente nazionalizzazione, erano stati chiesti dagli organismi europei 3,7 miliardi di capitale privato da coprire tra azionisti e obbligazionisti subordinati. Gli azionisti privati nel frattempo avevano lasciato le loro partecipazioni (scese da 62 e 48 euro rispettivamente a 10 centesimi cadauna) al Fondo Atlante 1 che aveva sottoscritto aumenti di capitale per oltre 5 miliardi nell’ ultimo anno. Successivamente la Commissione Europea ha chiesto un ulteriore miliardo agli investitori privati per poter arrivare alla ricapitalizzazione precauzionale e nazionalizzare i due istituti. Questa decisione ha provocato un deflusso di liquidità dalle due banche che sono state pertanto dichiarati “fallibili” dalla Banca centrale Europea. A questo punto il Consiglio europeo per le risoluzioni bancarie ha dichiarato che non considerava necessaria una risoluzione delle due banche in base al diritto comunitario perché non ritenute banche di interesse “sistemico” per l’Europa, ma ne affidava la gestione al diritto fallimentare italiano. Si poneva a questo punto la necessità di organizzare l’uscita ordinata dal mercato dei due istituti per evitare le importanti conseguenze negative.
Ci si è allora affidati alla Comunicazione bancaria degli aiuti di Stato del 2013 che prevede che gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati si facciano pieno carico delle perdite e l’intervento dello Stato serva a vendere gli attivi e garantire l’uscita ordinata delle due banche dal mercato: lo Stato diventa a questo punto un prestatore di ultima istanza per evitare disordini al sistema economico.

Banca Intesa, che partecipa al Fondo Atlante 1 (Fondo composto da banche ed assicurazioni che aveva già investito 5 miliardi nelle due banche venete), ha offerto la propria disponibilità a rilevare i due istituti chiedendo al Governo di ottenere soltanto la parte buona delle due realtà, che lascerà insieme alla sua rete, sul mercato già da oggi, per arrivare ad avere sul territorio italiano 100mila posti di lavoro complessivi e 6.000 sportelli (per i quali tra l’altro la Commissione Europea potrebbe chiedere una riduzione in virtù della soglia Antitrust che impedisce concentrazioni del 30% delle masse di risparmio gestite in capo ad un solo soggetto).

Ha ottenuto quindi:
*un provvedimento legislativo ad hoc con il quale si attivano specifiche misure per la soluzione della crisi cioè un quadro ben dettagliato in cui sono indicati gli elementi in cui si muoverà l’intera operazione,
LIQUIDITA’ PER
* essere finanziata fino a 3,5 miliardi per evitare che dall’operazione di acquisto Intesa si ritrovi con dei requisiti di capitale non più in linea con le regole vigenti e possa essere costretta a reintegrali richiedendoli ad azionisti, obbligazionisti o correntisti (importo che viene prelevato dal decreto banche di 20 miliardi già approvato dal Parlamento),
*essere finanziata fino a 1,28 miliardi per la ristrutturazione aziendale e la gestione degli esuberi (da 3mila a 4mila persone),

GARANZIE
*che vengano girati a suo favore i crediti d’imposta facenti capo alle due banche,
*di non rispondere delle perdite di capitale e delle obbligazioni subordinate, né dei debiti sorti a favore di azionisti e obbligazionisti,
* di essere coperta da tutte le cause ed i contenziosi originatisi prima della cessione,
* di avere particolari deroghe sul rispetto delle norme urbanistiche per gli immobili di proprietà,
* di essere rimborsata di tutte le spese sostenute per entrare in questa procedura,
* di essere coperta nella stessa veste di investitore persona fisica tutelato dalla garanzia dello Stato per le obbligazioni subordinate sottoscritte prima del giugno 2014,
* la garanzia di essere rimborsata dallo sbilancio di cessione fino a 6miliardi e 300 milioni,
* la garanzia di essere rimborsata o retrocedere alla banca residuale i crediti in bonis ma da considerarsi ad alto rischio fino a 4 miliardi,
* la garanzia per gli obblighi derivanti da impegni e garanzie fino a 1,9 miliardi,
*che tutte le risorse ricevute nel corso del procedimento non costituiscano reddito per il calcolo delle imposte e che le tutte le spese sostenute siano completamente deducibili.

Con lo sblocco dell’operazione sulle due banche venete, può procedere anche l’operazione su Monte Paschi in quanto il Fondo Atlante 2 (sempre costituito da un consorzio di banche ed assicurazioni) aveva garantito per le 2 venete 450milioni per la cessione dei crediti deteriorati, che adesso invece vengono svincolati dall’impegno e destinati a Monte Paschi.

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