L’ultimo bollettino Bce e la legge di bilancio per il 2017

L’ultimo bollettino della Banca centrale europea fornisce numerosi spunti di riflessione per le variabili della prossima legge di bilancio.

Le prospettive mondiali e dell’area euro sono orientate al ribasso per il 2017 ed il 2018, a causa della conclusione dell’orientamento fiscale espansivo concesso per il 2016. La Banca centrale auspica che i risparmi per interessi derivanti dalle sue operazioni non convenzionali siano canalizzati a ridurre i disavanzi, più che a finanziare deficit. Obiettivo finale dei Paesi resta  quello di ridurre il debito pubblico grazie all’aumento del differenziale tra crescita e tassi di interesse con il contributo (pur modesto in alcuni casi) degli avanzi primari. Ciò perché l’alto debito rende il Paese soggetto altamente vulnerabile in caso di instabilità finanziaria o in caso di risalita dei tassi di interesse.  Nessun cenno viene fatto in merito alle operazioni di investimento del Piano Junker, come se questo piano non esistesse. La scelta sembra voluta perché, molto probabilmente, dati gli sviluppi relazionali apparenti degli ultimi tempi, sarà proprio Junker la persona che concederà la flessibilità necessaria, isolando mediaticamente Merkel e Hollande, attesi per la tornata elettorale del 2017 e che mal si prestano ad apparire a fianco del governo di un Paese fortemente indebitato e poco rispettoso delle regole (soprattutto quelle ragionevoli di spending review).  Lo stesso Junker si rende parte attiva della fiducia ottenuta dal Pse –e quindi dai democratici-. In questa discesa prospettica dell’economia, l’unico traino verrà dai consumi privati, a livello macroeconomico perché stanno migliorando i mercati del lavoro ed il clima di fiducia, a livello microeconomico perché i consumatori dispongono di reddito reale maggiore per via della bassa inflazione. Gli occhi sono puntati peraltro anche sui prenditori netti delle operazioni finanziarie poste in essere dalla Bce, che hanno una maggiore propensione al consumo rispetto ai risparmiatori netti (che peraltro saranno gravati da bassi tassi). Si verifica dunque un effetto anomalo: ci si aspettano i consumi dagli investitori istituzionali, che dovrebbero finanziare gli investimenti e non i consumi. Sappiamo che dunque non faranno né l’uno né l’altro.  Il contesto esterno si presenta debole per le esportazioni: molto spesso si sviluppano all’estero mercati locali che riducono le esportazioni e permettono di adeguare più facilmente il prodotto alle richieste del territorio. In generale una ripresa al ribasso dovrebbe portare ad un atteggiamento prudenziale nella prossima legge di bilancio, date le difficoltà che si potrebbero incontrare nel rientro dei conti pubblici in caso di mancata spinta.

Il Pil europeo  del secondo trimestre è cresciuto di uno 0,3% sul trimestre precedente, prevalentemente trainato proprio da una domanda interna in crescita , da un maggiore effetto ricchezza creato dalla riduzione del costo del petrolio e dalle riforme strutturali che in alcuni casi hanno creato occupazione. Riferendoci all’Italia, bisogna ricordare che nella legge di bilancio per il 2017, lo stimolo alla domanda arriverà direttamente quasi esclusivamente dal canale pensioni, dove diverse sono le manovre di intervento che stanno per scendere in campo, con l’auspicio che siano percepite come incisive. Le iniziative del governo su inclusione sociale e contrasto alla povertà sono state poche e, per recuperare il tempo perduto, probabilmente anche il canale pensioni prenderà del tempo e i benefici potrebbero non essere immediati. Anche gli  investimenti potrebbero non partire  con la prospettata riduzione dell’Ires inserita già nella programmazione dal 2015: nulla esclude che tale riduzione possa essere tesorizzata, visto che la spinta all’investimento potrà arrivare più in avanti nel tempo in un clima di rinnovata fiducia. Una probabile proroga della nuova Sabatini (che nel 2016 ha raccolto domande per finanziamento pari a 4,9 miliardi) così come il  piano Italia 4.0,  orientato al rilancio degli investimenti innovativi e dell’economia digitale (13 miliardi in 7 anni dal 2018 al 2024) potrebbero invece far partire la domanda per investimenti. Da specificare che questa iniziativa nasce dal gap che l’Italia ha nella bilancia dei pagamenti della tecnologia: il tasso di copertura (rapporto entrate/pagamenti) è dello 0,9 contro l’1,3 tedesco e il 2,3 del Regno Unito. Lo sviluppo di tecnologie avanzate aiuterà sicuramente a correggere la distanza tra le imprese  più avanzate e quelle più arretrate, realizzando una sorta di complessivo salto culturale. Certamente l’Italia, vista la destinazione del suo export, sarà fortemente legata all’andamento complessivo dell’eurozona, e molto probabilmente Junker appoggerà l’esclusione, nel rapporto deficit/Pil, delle spese per investimento dai budget (in ciò appoggiato dalle dichiarazioni della capo economista dell’Ocse Catherine Mann).

La Bce dichiara che il suo ruolo continuerà ad essere quello di stimolare l’economia con bassi tassi, anche ulteriormente rispetto a quelli oggi esistenti: ciò implica che l’attività del Qe andrà avanti oltre il previsto marzo 2017, al di là del risultato della tornata referendaria in Italia e delle elezioni politiche in Francia e Germania. Le prospettive catastrofiche degli investitori in caso di vittoria del no al referendum, possono pertanto essere così tacitate.

L’inflazione della zona euro, oggetto del mandato della Bce, attualmente è dello 0,2% sui 12 mesi e non vi sono chiare tendenze al rialzo: obiettivo è che inizi a salire alla fine del 2016 per arrivare all’1,2% nel 2017. Nell’euro zona la crescita degli investimenti con i tassi così bassi potrebbe essere frenata soltanto dalla necessità di ridurre la leva finanziaria delle aziende o dalla lenta attuazione delle riforme strutturali (giustizia civile, burocrazia) nei Paesi che necessiterebbero di investimenti. L’obiettivo resta quello di trovare un equilibrio tra il sottoutilizzo della capacità produttiva dell’economia europea e il ridotto margine di intervento sui bilanci pubblici. Uguale attenzione è destinata ai Paesi con avanzi e margini di intervento, che dovrebbero spingere verso la crescita realizzando investimenti pubblici.

L’inflazione della zona Ocse attualmente è pari allo 0,8%: la componente energetica ha frenato la sua ripartenza ma si prevedono risalite per via delle ridotte produzioni di Canada e Libia. Attualmente sono al massimo le produzioni dei pozzi petroliferi dell’Arabia saudita ma in generale la domanda mondiale è rimasta superiore alle attese. Si sta per arrivare ad un riequilibrio tra domanda e offerta che dovrebbe spingere il tasso d’inflazione verso valori più ragionevoli.

Il fenomeno Brexit non ha interessato, per il momento, in maniera rilevantissima la zona finanziaria dell’euro, essendo rientrati i rendimenti obbligazionari ai valori pre-referendum (dopo le tensioni nell’immediatezza del voto) ed essendo andati in negativo soltanto i titoli bancari (banche colme di titoli di stato e crediti incagliati). Dal lato reale, le esportazioni si sono certamente irrigidite, ma lo erano già agli inizi del 2016 e il forte deprezzamento della sterlina ha contribuito al loro rallentamento. Il Regno Unito ha registrato in generale una maggiore tenuta del previsto, con una politica monetaria attuata subito dopo il risultato del voto referendario: sterlina indebolita che sta favorendo gli scambi, riduzione dei tassi per stimolare le attività economiche, una operazione di Qe destinata ad alimentare plusvalori obbligazionari e azionari che produrranno effetto ricchezza. Non sono da escludere ritardi negli aggiustamenti di bilancio che potranno aver luogo nel 2017.  Resta comunque da non sottovalutare l’incertezza politica ed istituzionale sulla domanda interna, così come restano da monitorare le reazioni dei mercati finanziari una volta conosciuti i tempi e le effettive condizioni di uscita del Regno Unito.

Vanno meglio gli Stati Uniti, dove la Fed, rilevando dati positivi sul mercato del lavoro, prevede di rialzare i tassi nel mese di dicembre (nonostante la politica di rinvii screditanti della Fed negli ultimi 9 mesi, nel bollettino della Bce traspare la ormai presa decisione): la quasi piena occupazione e l’aumento dei prezzi delle abitazioni, rende sicuro il trend di aumento dei consumi interni anche se un’ipotesi di rafforzamento del dollaro e la conseguente riduzione della domanda estera potrebbero inficiare il consolidamento della ripresa.

Dall’altra parte dell’Oceano, in Giappone (territorio che ha dovuto affrontare recenti difficoltà lungo la filiera produttiva per via del terremoto)  vengono sostenuti gli investimenti in infrastrutture, è stato ritardato all’aprile 2017 l’aumento dell’Iva e in generale viene sostenuto il credito a famiglie ed imprese: i benefici continuano ad arrivare all’economia reale.

La Cina continua a concedere politiche monetarie accomodanti insieme a politiche di stimolo fiscale, non prescindendo dalla necessità di sanare i bilanci bancari da crediti deteriorati e cercare di ridurre l’eccesso di capacità produttiva in alcuni comparti dell’industria pesante (siderurgia in primis). Prevale l’incertezza sulla fase di transizione da export a domanda interna e questa potrà ancora riverberarsi in una volatilità finanziaria a livello globale. Elemento che bisogna tener presente in Italia in questo periodo di ristrutturazione dei bilanci bancari per le quotazioni azionarie e di inizio di esposizioni per investimenti tecnologici per le aziende produttrici di beni.

Due sono i Paesi che stanno risentendo della recessione generale: Brasile e Russia, coinvolte nella riduzione dei prezzi delle materie prime di cui sono esportatrici. Il Brasile si è trovato di fronte ad un limite per le sue manovre: una elevata incertezza politica, condizioni monetarie restrittive e bilanci che necessitano di risanare i conti. La Russia è stata costretta a ridurre i tassi di interesse scontrandosi con una scarsissima fiducia degli operatori.

In generale gli emergenti sono in condizioni precarie soprattutto se dovesse partire la politica restrittiva statunitense: la loro recessione potrebbe procurare a livello mondiale una decelerazione inaspettatamente forte. Dunque sia la Cina, sia, in generale,  gli emergenti, potrebbero costituire fonte di instabilità prospettica nel momento in cui l’Italia sta cercando di risalire la china e questo dovrebbe propendere a ponderate valutazioni nella richiesta di deficit all’Europa.

In conclusione, una ripresa piuttosto lenta ma soprattutto disomogenea fa profilare un Pil mondiale al 3,5% per il 2017 (escludendo l’area euro).

Nota (molto) negativa arriva dall’analisi del comportamento degli investitori: il ricavato della cessione dei titoli delle amministrazioni pubbliche nell’ambito del programma Qe da parte dei non residenti, è stato successivamente investito in strumenti diversi dall’area euro.

L’analisi dell’occupazione fa rilevare alla Bce un incremento annuale per l’area euro pari all’1,4% anche se è messo in evidenza come le ore lavorate non siano in linea con la crescita: la ragione è l’aumento dell’occupazione a tempo parziale che inserisce gli occupati nella percentuale ma non garantisce le ore di lavoro. Problema drammaticamente vivo in Italia anche seguendo i criteri di rilevazione statistica che includono negli occupati chi ha lavorato poche ore alla settimana e l’aumento dell’utilizzo della forma più precaria di occupazione che è quella dei voucher. Segnala anche una crescita moderata dei salari, sia perché vi è eccesso di offerta, sia perché piuttosto bassa è la produttività dell’area. Allo sviluppo della produttività sono destinati 1,3 miliardi dal piano Italia 4.0, ma nasce qualche sospetto dalla frase che ha presentato la direttrice “scambio salario-produttività”. Da auspicarsi non vi siano sorprese per una ricontrattazione di secondo livello che abbassi sostanzialmente i salari e li ricontratti con ingaggi giuridicamente diversi da quelli che sinora hanno garantito tutele. Bisognerà in merito attendere i documenti.

Un’attenzione alle politiche di bilancio è in particolare destinata a Portogallo e Spagna che, rispettivamente nel 2015 e nel 2016, non hanno adottato misure per disavanzi eccessivi: al Portogallo è stata imposta una correzione entro il 2016 mentre per la Spagna la proroga arriva fino al 2018. Per entrambi sussiste l’ipotesi di sospensione dei fondi strutturali in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni.

Attendiamo la legge di stabilità, sperando non vi sia inutile distribuzione di risorse indistinte e a pioggia, a soli fini referendari.

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